Creazioni in vetro soffiato, vetrofusione e gioielli
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Bottega in Altare (SV), Via Roma n. 41
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Il cristallo di Colle Val d'Elsa

Didattica > Articoli storici

Cristallo di Colle Val d’Elsa: 1900-1970
Dalla memoria storica alle variabili del design,
una riflessione tra modernità e tradizione.

Di ANGELO MINISCI



L’arte del vetro in Toscana è presente a partire dal periodo etrusco, con una particolare produzione di piccole ampolle sia per uso domestico sia per uso votivo.
L’importanza delle aree produttive vetrarie nella Val d’Elsa è nota, ma spesso se ne dimentica la presenza a Colle Val d’Elsa, della quale si hanno notizie solo a partire dal Medioevo (1353, legge sulle gabelle- 1407, statuto).
Da questi e da altri pochi dati, molti dei quali incerti, non si ricava una visione completa del passato colligiano. In ogni caso, si può affermare che la produzione vetraria a Colle è presente a partire dal XIV secolo.
In quel periodo, la ricca famiglia Pesci prese in affitto alcuni locali degli Agostiniani per intraprendere una produzione di oggetti in vetro, quali bicchieri e vasellame.
L’installazione e lo sviluppo dell’industria vetraria fu possibile anche per fattori ambientali: le materie erano reperibili in loco e la Via Romea permetteva il trasporto della sabbie necessarie alla produzione. All’inizio del XIX secolo si andò modificando l’assetto economico a Colle Val d’Elsa ed alcune piccole imprese vetrarie permisero alla città di riprendersi dalla crisi delle industrie cartiere non sufficientemente competitive. Alla metà del 1800 nelle relazioni delle camere di commercio si contano ben ventitre fornaci da vetro, dieci delle quali in provincia di Firenze: fra Montelupo, Empoli, Montaione: in pratica nel distretto della Val d’Elsa.
In uno scritto del 1939 di Rovigo Marzini si legge a tal proposito: “…sebbene si abbiano notizie della lavorazione del vetro a Colle nel Medioevo… la vera industria cominciò molto più tardi ad opera del maestro G.B. Schmidt…”.
Lo sviluppo di questa produzione fu favorita dal particolare interesse in questo campo di personaggi come il banchiere Modigliani, l’industriale Leucci e il vetraio francese Mathis, che impiantarono una prima fabbrica di cristalleria da tavola a Colle; morto il Mathis ne 1832 l’impianto venne affidato allo Schmidt, il quale in poco tempo riuscì a migliorare la produzione ed i processi produttivi.
Grazie alla sua opera, nella seconda metà dell’Ottocento erano registrate circa 162 unità nel suo impianto, dando la possibilità all’industria colligiana di occupare un posto di prestigio all’interno dei mercati nazionali ed esteri: questo anche per una produzione in cui risaltava la purezza e la qualità del materiale. Tanto che a Colle valse la definizione del Luzzati come “Boemia d’Italia”.
L’innovazione produttiva e tecnologica ha sempre contraddistinto il manufatto colligiano e la storia di questo; la capacità dello Schmidt fu di portare la produzione vetraria a livelli di competizione internazionale e, quel che più conta di iniziare un processo di perfezionamento dei prodotti, grazie alla collaborazione con le produzioni francesi di Baccarat (a testimonianza di quanto affermato, l’esistenza di un catalogo di oggetti per la tavola datato 1845); infatti gli oggetti prodotti erano simili per modelli a quelli di Baccarat e ben lontani dalle figurazioni tipicamente “rinascimentali” della cultura toscana. E’ sufficiente pensare al comparto arroteria, uno dei primi in Italia che migliora la lavorazione del cristallo molato, indirizzandolo verso un gusto europero e moderno.
Merita, per questo, ricordare i molti studi fatti sulle miscele, per migliorare la composizione del cristallo, eseguiti dal Rolandi e da imprenditori come Filippo Lepri o Alfonso Nardi, che seguirono l’impulso imprenditoriale dello Schmidt nel comune intento di garantire una continuità alla produzione colligiana. Una storia industriale dove le crescita tecnica ha fortemente condizionato il territorio, in cui sussistono tracce inconfondibili di oggetti e collezioni particolari, reminiscenze di una più moderna storia delle arti applicate; fra cui l’esperienza di alcuni artigiani-molatori, dovuta alla pratica fatta nei corsi di disegno  della Scuola Professionale ed al Laboratorio d’Arte Decorativa (aperta nel 1898 dall’architetto Antonio Salvetti). Tra i tanti maestri di questa scuola, nel 1919 vi insegnò l’artista Guido Balzamo Stella, come insegnante di decorazione del libro e di arti grafiche. Non si può escludere che, in questo soggiorno, abbia avuto dei contatti con con gli artigiani di Colle. Su questa ipotesi non vi è alcuna prova in merito, anche se sembra sicura la sua influenza all’interno di questo panorama, esperienza che si richiamava alla Secessione Viennese e alla cultura figurativa nordica, e che costituì parte di un nuovo patrimonio figurativo, rinnovando radicalmente metodi e modelli formali per l’incisione e la molatura.
La presenza in Toscana, in quel periodo, di personaggi come G. Ponti e C. Guerrini permise alla produzione di fare un salto verso la modernità, ricercata nell’innovare con nuovi modelli le produzioni manifatturiere, come la Richard Ginori o la Cantagalli.
Infatti, queste presenze nelle realtà toscane hanno permesso l’avvio di una nuova capacità espressiva che si traduce a Colle nelle opere di artigiani molatori come Nello Cigni, Mario Salvi, capostipiti della “scuola colligiana” che, fino a oggi, ha arricchito l’abaco dei decori della molatura.
In ogni caso bisognerà attendere il 1920 per vedere sorgere il primo complesso moderno, la vetreria “Modesto Boschi”, l’unica capace di innovare i suoi prodotti, di migliorare i processi di produzione e di favorire il dialogo tra molatori e vetrai favorendo nuovi modi di lavorazione, i cui risultati furono tra l’altro la produzione del “mezzo cristallo” e del vetro sonoro.
Le capacità imprenditoriali del Boschi permisero non solo un’evoluzione sul piano produttivo, ma anche un’innovazione industriale e tecnologica, frutto della sua esperienza nelle vetrerie francesi.
Creò così il primo forno a bacino, che affiancò gli esistenti forni a crogiolo, avviando un processo di lavorazione continua; la sua fabbrica occupava, prima della seconda guerra mondiale, oltre cinquecento vetrai, per arrivare nel 1951 a seicentoventicinque.
Al momento del cambio di gestione, alla morte del Boschi, i criteri di sviluppo tecnico e di conduzione dell’azienda non furono più adeguati e nel 1953 lo stabilimento cessò definitivamente.
Nel secondo dopoguerra nascono piccole aziende che, con alterne fortune, riuscirono a rimanere sul mercato per circa trent’anni. Lo sviluppo di queste ebbe luogo a seguito dell’attività delle maestranze espulse dalla Boschi, che scelsero la strada imprenditoriale, aprendo numerosi laboratori artigiani ed avviando un processo di formazione del tessuto produttivo che ha percorso i decenni successivi.
Se i maestri vetrai mantennero da un lato alta la qualità esecutiva dei loro prodotti, dall’altro erano imprenditorialmente inesperti a proporsi efficacemente sui mercati, quindi finirono col sottostare al ricatto di commercianti e, pur di vendere, si trovarono costretti ad applicare sui prodotti diciture del tipo “made in Germany” o “in Boemia”.
Queste operazioni hanno portato ad una proliferazione di produzione per conto terzi, difficilmente controllabile. Negli anni Sessanta (vista la grande richiesta di prodotti molati), le molerie ebbero un notevole sviluppo sul territorio e, seppur nate sulla base di forti spinte imprenditoriali, non ebbero uno sviluppo programmatico e continuo.
Eppure, hanno rilevanza, a mio avviso, due episodi, in questa situazione di transizione evolutiva per il territorio di Colle: legati alla realtà nazionale di quegli anni a cavallo tra il 1950 e il 1960, con particolare attenzione per l’area milanese che vide nel design l’affermarsi di un “made in Italy” come sinonimo di qualità e creatività. Un connubio design-industria che la storia ha evidenziato fortemente, un successo da attribuirsi ad alcuni industriali illuminati che hanno colto nel design le potenzialità per una crescita non solo tecnica, ma anche formale: collaborazioni come quella fra Adriano Olivetti e Marcello Nizzoli, oppure quella tra Corradino d’Ascanio con la Piaggio per il progetto della Vespa o della Lambretta di Cesare Pallavicino.
A Colle infatti, vanno segnalate due esperienze che hanno fortemente qualificato la produzione artigianale (anche se legate a situazioni episodiche).
L’impegno di un’azienda come l’Arnolfo di Cambio che, colto lo spirito nazionale, trovò in designer come Jòe Colombo, Sergio Asti, Marco Zanuso, figure di riferimento per la sua produzione.
E’ con Jòe Colombo che nascono progetti come “smoke” del 1964, bicchiere riletto con l’ideazione di un gambo asimmetrico; oppure “biglia”, progetto del 1969, posacenere con base in metallo colorato e mezza sfera superiore in cristallo, la cui semplice rotazione della stessa  poteva eliminare la cenere: progetti dal forte impatto visivo, originate dalla particolare formazione del designer, artista prima che progettista. Questo contributo è da leggere in due direzioni: da un lato come “vitalistica” definizione dell’oggetto e dall’altra come reazione partecipe di una condizione del progettare in Italia tra gli anni sessanta e settanta, legata ad una ottimistica produttività sfrenata. Il tentativo, direi, dell’azienda, fu di superare il regionalismo toscano, imponendosi sul mercato con un ruolo determinante e soprattutto con prodotti ad elevato contenuto di design.
L’altro esempio poco noto e non legato ad un personaggio-guida, è la ricerca fatta dalla Vitac cristalleria. Nata dopo la chiusura della Boschi nei primi anni Sessanta prima come “Grandi cristallieri”, ha posto molta attenzione alla ricerca di nuove forme e mercati di riferimento, creando spunti che hanno fortemente interagito con la produzione del periodo. Un’esperienza che mal si presta a essere etichettata come un episodio isolato, che certamente traccia una traiettoria eccentrica rispetto a quella più consueta e conosciuta del cristallo di Colle, mediante le personali e originali invenzioni dei maestri vetrai, che non si arrendevano alla serialità e con il desiderio di interagire con questa hanno avuto il coraggio della sperimentazione e dalla liberazione dalle forme.
Oggetti come il bicchiere “Quirote” e altri prodotti dei circa duecento modelli fatti, si allontanano da una dimensione estetica “moderna” oppure “kitsch”, anche se forse soltanto per ritrovare l’autenticità del “fatto a mano”, come le produzioni europee di quel periodo. Solo così può essere spiegato questo stile, intreccio fra passato e presente, anche se vi sono pochi oggetti superstiti di quei momenti, espressivi di un design “autodidatta” da parte delle maestranze operanti nella cristalleria.
In realtà gli oggetti prodotti a Colle sono la traduzione di stili e gusti, reminiscenze dei periodi precedenti da cui deriva una precisa identità. Le collezioni odierne sono così dettagliate ed eterogenee da creare una massificazione ed una limitata diversificazione dei prodotti.
La storia come strumento di progetto, capace di offrire spunti e riflessione sembra un’idea lontana, che poco riesce a conciliarsi con una pur sempre presente abilità manuale.
A Colle oggi si produce il 90% del cristallo su scala nazionale, ben oltre il 13% di quello internazionale.
E’ una realtà dove la storia è stata fatta da uomini, artigiani illuminati che hanno caratterizzato la cultura del luogo e dove un progetto di design ricercato sembra possibile per le memorie future e per dare nuovi presupposti all’identità del prodotto colligiano.

Costantino Bormioli, Lavorazione Artigiana Vetro - P.IVA 01317860094
Costantino Bormioli P.IVA 01317860094
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